I consiglieri comunali, nell’ambito della loro attività pubblica, sono titolari di diritti e prerogative finalizzate ad un esercizio della funzione in modo consapevole, con la piena possibilità di presentare proposte di deliberazione al consiglio comunale, chiedere la convocazione dello stesso, presentare interrogazioni e mozioni (un potere di sindacato ispettivo), ottenere dagli uffici e dagli enti e/o aziende strumentali tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili per l’appunto, all’espletamento del proprio mandato (una estensione del diritto di accesso, exart. 22 della Legge n. 241/90) ed inoltre, se consiglieri di minoranza, di presiedere le commissioni aventi funzioni di controllo o di garanzia.
Nelle attività consiliari la norma, del quarto comma dell’articolo 39 del D.Lgs. n.267/2000 (tuel), prevede una adeguata e preventiva informazione ai gruppi consiliari ed ai singoli consiglieri sulle questioni da sottoporre al consiglio, affinché sia assicurata e garantita la possibilità di prendere cognizione di tutti gli atti e documenti istruttori posti alla base dei singoli provvedimenti da approvare in assemblea.
In questa prospettiva, il tuel si occupa di chiarire lo status del consigliere comunale che oltre ad essere titolare di poteri pubblici deve assumere un comportamento improntato all’imparzialità e al principio di buona amministrazione, nel pieno rispetto della distinzione tra le funzioni, competenze e responsabilità degli amministratori e quelle proprie dei dirigenti (principio di separazione tra politica e amministrazione), imponendo agli stessi di astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado, così come è vietato ricoprire incarichi e assumere consulenze presso enti ed istituzioni dipendenti o comunque sottoposti al controllo ed alla vigilanza degli enti di appartenenza.
Tale impedimento si estende oltre alla manifestazione di volontà esprimibile in consiglio comunale, per ricomprendere, qualora componenti di giunta, la posizione soggettiva del singolo rispetto all’attività professionale da esso svolta afferente ad alcune materie previste dalla legge: “i componenti la giunta comunale competenti in materia di urbanistica, di edilizia e di lavori pubblici devono astenersi dall’esercitare attività professionale in materia di edilizia privata e pubblica nel territorio da essi amministrato”.
Dall’insieme del quadro normativo, si comprende che il consigliere comunale possiede diversi strumenti finalizzati all’esercizio del munus publicum, la cui compressione comporta la menomazione di una serie di diritti inerenti alla carica ricoperta, consentendo al consigliere comunale di poter agire in via giudiziaria contro la limitazione dei propri diritti.
La quinta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 7 luglio 2014, n. 3446, interviene sul punto in relazione all’attività deliberativa di adozione di una strumento urbanistico, compromessa (si stima) dal mancato rispetto delle fasi procedimentali di partecipazione dei consiglieri comunali (di minoranza), dall’avvio della conferenza dei capi gruppo (difetto di convocazione) alla votazione; innestando, pertanto, un contenzioso “interorganico” tra i componenti dell’organo deliberativo sulla presunta lesione delle prerogative dei propri componenti.
I giudici di Palazzo Spada, in primis si soffermano sulla natura del contenzioso amministrativo che è finalizzato alla risoluzione di controversie “intersoggettive” e non già di quelle tra organi o componenti di organi dello stesso ente, con conseguente difetto di legittimazione dei consiglieri comunali ad impugnare le delibere dell’organo di appartenenza, salvo che non incidano in via diretta sul proprio ufficio di consigliere comunale.
La prima serie di questioni riprende un orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa:
a. la legittimazione dei consiglieri dissenzienti ad impugnare le delibere dell’organo di cui fanno parte ha carattere eccezionale, dato che il giudizio amministrativo non è di regola aperto alle controversie tra organi o componenti di organi di uno stesso ente, ma è diretto a risolvere controversie intersoggettive, per cui essa rimane circoscritta alle sole ipotesi di lesione della loro sfera giuridica, come per esempio lo scioglimento dell’organo o la nomina di un commissario ad acta, in cui detto effetto lesivo discende ab externo rispetto all’organo di cui fa parte;
b. la legittimazione ad agire del consigliere non risiede nella deviazione dell’atto impugnato rispetto allo schema normativamente previsto, quando da essa non derivi la compressione di una sua prerogativa inerente all’ufficio, occorrendo in ogni caso aver riguardo a questo fine, “alla natura e al contenuto della delibera impugnata” e non già delle norme interne relative al funzionamento dell’organo;
c. la contestazione del componente di un organo collegiale non può limitarsi a censurare l’oggetto o le modalità di formazione della deliberazione del medesimo organo, senza dedurre che da esse ne sia derivata una lesione delle sue prerogative, giacché questa non discende automaticamente da violazioni di forma o di sostanza nell’adozione di un atto deliberativo;
d. l’omissione o il ritardo nel fornire ai consiglieri dell’ente locale la copia di atti presupposti ad una proposta di delibera non costituisce lesione delle prerogative inerenti l’ufficio di consigliere comunale, rimanendo la sua tutela circoscritta in un ambito esclusivamente politico, all’interno dell’organo di cui fa parte, affidata all’espressione a verbale del proprio dissenso in quanto corollario del più generale principio sopra affermato.
(Estratto, Prerogative dei consiglieri e impugnabilità degli atti, LexItalia, 2014, 7 – 8)